
Roma, più di ogni altra città, vive il Natale come una stratificazione di epoche. Sotto le luci, gli addobbi e gli alberi che oggi colorano rioni, quartieri, piazze e strade, sopravvive una tradizione antichissima che affonda le sue radici nell’Antica Roma e nei Saturnalia, il ciclo di feste che celebrava il solstizio d’inverno.
Dal 17 al 23 dicembre, periodo fissato in epoca imperiale da Domiziano, i Romani onoravano infatti Saturno, dio dell’agricoltura, e Ops, dea dell’abbondanza. Erano giorni di sospensione dell’ordine quotidiano: banchetti pubblici, doni simbolici, giochi, libertà per gli schiavi e città addobbate con rami sempreverdi, ghirlande, fiaccole e fiori invernali. Un modo per celebrare la vita che resiste al freddo e al buio, proprio come il verde che non appassisce.
E non è un caso che l’uso di rami sempreverdi ritorni, secoli dopo, nella tradizione dell’albero di Natale. Durante i Saturnalia, i Romani si scambiavano auguri accompagnati da strenne, piccoli doni ispirati alla dea Strenua: candele, noci, datteri, miele. Un gesto che ricorda sorprendentemente lo spirito natalizio moderno.
Catullo definiva i Saturnalia come optimo dierum, i migliori giorni dell’anno. In quel periodo si celebrava la mitica Età dell’Oro, quando – secondo il mito – Saturno regnava su una terra senza schiavi né padroni, dopo essere stato accolto in Italia da Giano. Anche per questo, durante la festa, gli schiavi diventavano simbolicamente liberi e veniva eletto un princeps, una figura grottesca e festosa che sovvertiva l’ordine sociale. Questo spirito goliardico e a volte sfrenato, lo ritroveremo nei secoli successivi anche nel Carnevale romanesco, ma questa è un’altra storia.
La Capitale, dunque, rinnova quella tradizione ancestrale attraverso i grandi alberi di Natale che diventano punti di riferimento simbolici e sociali della città.
Quest’anno in piazza San Pietro l’albero di Natale è un abete rosso di 25 metri, proveniente dalla valle alpina di Ultimo, in provincia di Bolzano. Offerto dai comuni di Lagundo e Ultimo, è stato prelevato nel rispetto della foresta. Come ha spiegato il vescovo di Bolzano-Bressanone, monsignor Ivo Muser, il taglio rientra in una gestione forestale sostenibile, con riforestazione garantita. Al termine delle festività, nulla andrà sprecato: dai rami verranno ricavati oli essenziali e il legno sarà donato a un’associazione benefica.
Anche piazza del Popolo si è accesa con un grande albero: un Abies Nordmanniana di oltre 20 metri, realizzato grazie alla collaborazione tra Roma Capitale e Rattiflora Sas.
Illuminato da 100mila led a basso consumo, è decorato con sfere oro, argento e rosse, mentre una stella dorata domina la cima. Un simbolo luminoso che dialoga con la monumentalità della piazza e con la storia millenaria della città. Senza dimenticare gli alberi a piazza di Spagna - decorato con 300mila luci led a basso consumo - e di piazza del Campidoglio, voluto dalla Presidenza dell’Assemblea Capitolina e dedicato alla costruzione e alla diffusione di una cultura di pace.
Dai rametti sempreverdi dei Saturnalia agli abeti che oggi illuminano le piazze romane, il significato profondo resta lo stesso: celebrare la rinascita della luce e della speranza e la comunità.
Così, sotto gli alberi di Natale della Capitale, continua a vivere – magari inconsapevolmente – quel gesto antico di appendere un ramo verde per augurarsi prosperità, abbondanza e giorni migliori. Proprio come facevano i Romani, più di duemila anni fa.
Foto: l'albero di Natale addobbato a piazza del Popolo, dicembre 2025 - Credit: Comune di Roma
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