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Suicidio a Rebibbia, 29esimo caso in Italia. Di Giacomo (SPP): «Servono fondi e strumenti efficaci»

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    Redazione La Capitale
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 2 min

L’uomo si è impiccato alla porta aperta della sua cella

carcere rebibbia
Immagine di repertorio

Un detenuto italiano di circa 40 anni, con gravi problemi psichici, si è tolto la vita nella serata di ieri nel carcere romano di Rebibbia.


L’uomo si è impiccato alla porta aperta della sua cella. Dopo la tragica notizia, alcuni detenuti hanno protestato danneggiando la sala infermeria dell’istituto.


Il 29° caso dall’inizio dell’anno

Con questo episodio, salgono a 29 i suicidi nelle carceri italiane nel 2025, un numero che preoccupa e riporta alla memoria il tragico bilancio dello scorso anno, quando si registrarono 90 casi, un record drammatico. A lanciare l’allarme è Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria (SPP): «Bisogna passare dalla parole ai fatti. Serve un piano urgente di prevenzione».


Secondo Di Giacomo, è in forte aumento il numero di suicidi tra i detenuti con disturbi mentali, cresciuto del 40% negli ultimi due anni. «Molti di loro – sottolinea – non dovrebbero trovarsi in carcere, ma in strutture socio-sanitarie specializzate. Dopo la chiusura dei manicomi giudiziari e l’introduzione delle REMS, la situazione è peggiorata per la carenza di posti disponibili e i lunghi tempi di attesa per i trasferimenti».


Le critiche e le proposte del SPP

A peggiorare il quadro, denuncia il sindacalista, è anche la carenza di personale medico, psicologi e psichiatri nelle carceri italiane. «Manca una rete strutturata di collaborazione tra sistema sanitario e amministrazione penitenziaria – spiega – e non esistono protocolli operativi diffusi, sebbene in alcune realtà i modelli funzionino».


Il sindacato propone l’apertura di sportelli di supporto psicologico in ogni istituto penitenziario, insieme alla promozione di attività sociali e lavorative, corsi di formazione e corsi di lingua per i detenuti stranieri. «Anche la presenza di mediatori culturali e interpreti – evidenzia Di Giacomo – può fare la differenza, perché la mancanza di comunicazione spesso aggrava il disagio».


Di fronte alla crisi, Di Giacomo richiama le responsabilità della politica e dell’amministrazione: «C’è chi parla di “sussulto umanitario”. Ma qui serve un vero sussulto da parte delle istituzioni. Lo Stato non può continuare a essere incapace di garantire la vita di chi ha in custodia e quella del personale, sempre più spesso vittima di aggressioni».


«L’emergenza ha superato il punto limite – conclude –. Servono strumenti concreti, finanziamenti mirati, più collaborazione tra sanità e sistema penitenziario. Solo così si potrà fermare questa strage silenziosa».

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