Spesa sanitaria familiare, nel Lazio il 10,5% della popolazione rinuncia alle cure per motivi economici
- Anita Armenise
- 19 feb
- Tempo di lettura: 2 min
Nel Lazio, come nel resto del paese, la sanità integrativa, quella che si aggiunge o sostituisce alla sanità pubblica, ha un ruolo ancora marginale

Il Lazio si attesta tra le regioni con una spesa sanitaria out of pocket, che comprende tutti quei pagamenti che si fanno per servizi sanitari non coperti da assicurazioni o finanziati da Regione e governo, pro-capite superiore alla media nazionale. Secondo il report Gimbe presentato all’Annual Meeting dell’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute, nel 2023 la spesa sanitaria privata in Italia ha raggiunto i 40,6miliardi di euro. Dati che rivelano un valore nazionale di 730 euro pro-capite, con un range che va dai 1.023 euro della Lombardia ai 377 euro della Basilicata.
Ma è la distribuzione interna del Lazio a mettere in luce forti disuguaglianze, con Roma che registra i valori più elevati rispetto alle province più periferiche. La spesa out-of-pocket nel Lazio riflette il sottofinanziamento della sanità pubblica e le difficoltà di accesso al Servizio Sanitario Nazionale, aggravate da lunghe liste di attesa.
Spesa sanitaria, crescente la rinuncia alle cure
Uno dei dati più allarmanti riguarda la percentuale di cittadini che hanno dovuto rinunciare a cure o esami per motivi economici. Nel Lazio, il 10,5 per cento della popolazione ha dichiarato di aver rinunciato a prestazioni sanitarie, un valore superiore alla media nazionale del 7,6 per cento. Le differenze regionali sono marcate: nove regioni superano la media nazionale, con la Sardegna (13,7 per cento) e il Lazio oltre il 10 per cento delle famiglie. Al contrario, 12 regioni, tra cui la Calabria con il 7,3 per cento, si collocano sotto la media italiana, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli che registrano il valore più basso (5,1 per cento).
Il ruolo della sanità integrativa
Nel Lazio, come nel resto del paese, la sanità integrativa, quella che si aggiunge o sostituisce alla sanità pubblica, ha un ruolo ancora marginale: solo l’11,4 per cento della spesa sanitaria privata è intermediata da fondi sanitari e polizze assicurative.
La mancanza di una normativa chiara e il sottofinanziamento del Ssn limitano l’efficacia del secondo pilastro sanitario, che potrebbe invece contribuire ad alleggerire il carico economico sulle famiglie. Questo secondo pilastro «previa adeguata riforma - spiega Nino Caltabellotta, presidente di Gimbe - può essere sostenibile solo se integrato in un sistema pubblico efficace. Altrimenti rischia di crollare insieme al Ssn, spianando definitivamente la strada alla vera privatizzazione della sanità, che alimenta iniquità e diseguaglianze e tradisce per sempre l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del SSN».