Roma è transfemminista? Le voci dalla «marea viola» dell’8 marzo
Lo sciopero transfemminista sfila per le strade della Capitale e occupa gli spazi pubblici per lottare contro la cultura patriarcale. Oggi «Roma è transfemminista», rivendicano le partecipanti al corteo. Ma nel resto dei giorni? Ecco le risposte dalla piazza

Sfilano in migliaia per le strade di Roma, da piazza Vittorio a Circo Massimo, per la giornata di sciopero transfemminista indetto da Non una di meno «dal lavoro produttivo, riproduttivo e di cura, dei consumi».
Così si ritrovano in circa 30mila, secondo l’organizzazione, per celebrare la Giornata Internazionale per i diritti delle donne e insieme «lottare, boicottare e scioperare» contro chi sostiene la cultura patriarcale «come sicurezza, ordine, controllo, repressione e punizione», si legge sul profilo Instagram del movimento transfemminista Nudm.
Le diverse anime che tengono viva questa realtà reclamano unite lo stesso spazio pubblico e rivendicano che, almeno per oggi, Roma è transfemminista. Ma lo è sempre? Ecco cosa ci hanno risposto le stesse partecipanti al corteo.
Una città insicura
«No, perché non mi sento al sicuro» è una tra le risposte che si sente più spesso. «Mancano spazi di confronto, spazi sicuri e luoghi di protezione» criticano altre persone interpellate sul tema.
L’immagine che traspare è quella di una città che non si dimostra sicura. Non è una casualità che sia proprio la sicurezza uno dei temi al centro dello sciopero di oggi. Una sicurezza che però non dovrebbe essere intesa come «ordine, controllo, repressione e punizione», ammonisce il movimento Nudm, ma come «educazione alla sessualità, alle emozioni e al consenso come materia curricolare fin dalle primarie».
Non è quindi «una politica securitaria» quella che richiede la piazza, nonostante traspare una netta insicurezza nella vita in città, ma piuttosto risposte che scavino nella radice del problema e lavorino per estirparlo prima ancora che questo cresca.
«Io vedo una città transfemminista» è invece la risposta di Laura, 32 anni, che mentre si aggiusta il fazzoletto fucsia sul collo palesa un forte ottimismo: «Vedo una città e una comunità transfemminista che si sta pian piano radicando nei luoghi e nei territori e che da qui sta iniziando a fare un buon lavoro che ben presto crescerà», è la sua previsione.
La speranza nel futuro e il rapporto con la città
«Se non avessimo speranza non saremmo qui» aggiunge Cristina, romana d’adozione che da quando si è trasferita per l’Università non ha mai smesso di amare la città, nonostante i tanti episodi difficili che ha vissuto.
«È vero che il lavoro da fare è tanto - ammette - ma credo che siamo sulla strada giusta. Specialmente la sera ho visto spesso una città pericolosa, ma questo non mi ha mai fatto demordere. Credo che come comunità possiamo farcela e forse un giorno vedremo finalmente Roma come una città pienamente transfemminista».
La direzione che tante persone vedono in futuro è quindi diretto verso un rapporto radicato con il territorio: «Il lavoro che facciamo con le tante associazioni presenti nei quartieri sta dando i suoi frutti» è la chiosa di Valentina, volontaria di un’associazione che aiuta le donne a uscire da situazioni di difficoltà economiche nella periferia di Roma est.
Il suo messaggio racchiude diverse visioni che si sentono nella piazza: «Io non vedo adesso Roma come una città transfemminista. Sento amiche e colleghe spesso preoccupate, ma non è questo che mi mette tristezza. Sono triste quando sento lo sconforto, mentre giornate come questa mi ricordano l’importanza dell’unione nella lotta, nonostante le differenze».
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