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Rebecca Manganaro

«Molti fallimenti sono diventati successi»: la lotta di don Giovanni al disagio giovanile

Aggiornamento: 25 set

La Capitale ha incontrato don Giovanni Carpentieri, prete ed educatore professionale, che con la sua associazione di volontariato “Fuori della porta” ascolta i giovani nei loro luoghi di incontro come piazze, pub e discoteche

Associazione di volontariato “Fuori della porta” (La Capitale)
Associazione di volontariato “Fuori della porta” (La Capitale)

Droga, esposizione alla criminalità, ma anche atteggiamenti autodistruttivi, solitudine e mancanza di progetti. Questa condizione giovanile è molto diffusa nella Capitale e più in generale in Italia.

Recuperare alla vita, alla dignità, al lavoro e agli affetti una generazione, dagli 11 ai 21 anni, cancellata dalla disperazione di una vita disordinata a causa di mille dipendenze.


Don Giovanni Carpentieri, romano di nascita, oltre ad essere un prete è anche un educatore professionale, «scegliete la metà che vi sta simpatica e scartate quella che vi sta antipatica, più di così non posso fare» afferma ironicamente.


Tramite l'associazione di volontariato chiamata “Fuori della porta”, ascolta i giovani nei loro luoghi di incontro come piazze, pub e discoteche. Si prende cura dei disagi che i ragazzi esprimono: dipendenza da droghe e dal gioco d'azzardo, prostituzione giovanile, difficoltà nella gestione della rabbia che spesso si tramuta in violenza e, soprattutto, la mancanza di adulti al loro fianco. Ci tiene a sottolineare, però, che «bisogna aiutare anche coloro che una casa e una famiglia ce l'hanno».


Perché ha intrapreso questo percorso sul disagio giovanile?

(La Capitale)
(La Capitale)

«Ho conosciuto una persona durante il mio percorso in seminario, una persona con un passato un pò effervescente, diciamo così. Questa persona mi chiese: “Ma se tu per strada incontrassi un tossico, una prostituta, un carcerato cosa gli diresti?”. Io davanti a questa domanda rimasi un pò interdetto e risposi che non mi era mai capitato e che quindi non sapevo cosa rispondere alla sua domanda. Lui, in maniera molto diretta, mi disse: “Allora il prete non lo puoi fà”. Ci rimasi male, sono sincero, e allora gli dissi di insegnarmi a fare il prete. Mi portò in strada, ma nel vero senso della parola. Mi ha fatto dormire per strada, mi ha fatto vedere i luoghi dove si spacciava, mi ha fatto capire come comunicare. Mi diede la cassetta degli attrezzi, il kit metodologico, diciamo così. A lui devo tutto».



C'è una vicenda particolarmente brutta che l'ha colpita e le ha fatto dire “basta devo intervenire”?

«Io porto nel cuore tante situazioni, tanti ragazzi e tante famiglie. Porto nel cuore situazioni che sono morte, purtroppo. Fare funerali a ragazzi di 16,17,18,19,20,21 anni è la cosa che mi porto nel cuore e che mi irrita la pelle. Tiziano, Matteo, Tonino, Giordano...ce ne stanno tante e ce sono altrettante che sono lì lì. Ad un certo punto ho detto basta, devo fare di più».


Invece una bella esperienza che si porta nel cuore?

«Ce ne sono tante anche belle. Ti racconto la storia di un ragazzo conosciuto ad Ostia, situazione di dipendenza da psicofarmaci, spaccio, connivenze e connessioni con tutto lo schifo che gira intorno a queste situazioni, procedimenti penali e quant'altro. Dopo un percorso in comunità, quest'anno, a giugno, ha preso il diploma e si è iscritto alla facoltà di scienze dell'educazione e vuole diventare un educatore professionale. C'è un'altra ragazza, invece, di 16 anni, l'ho conosciuta in casa famiglia. Era zeppa zeppa di robaccia, ora invece si sta comportando alla grande. Queste sono le due situazioni più recenti che mi hanno dato tanta soddisfazione, ma non per me, per loro».


Più successi o più fallimenti?

«Io non ho mai voluto contarli, posso dire che ci sono stati molti fallimenti, ma non vuol dire che sono il contrario di successi. Posso dire però che molti fallimenti sono diventati successi. Noi, d'altronde, siamo fatti per la vita, non siamo fatti per la sofferenza e per il dolore».


Come riesce ad agganciare i ragazzi in contesti come le discoteche?

«Sono proprio le situazioni e le location che ci danno i ganci. Innanzitutto ci si presenta al gestore delle discoteche e una volta dentro non siamo noi che andiamo dai ragazzi, ma loro che vengono da noi. I gestori dei locali ci mettono a disposizione un piccolo spazio all'interno della discoteca e noi predisponiamo delle cose che attirano i ragazzi. I giovani, ovviamente, quando vedono che le attrazioni che proponiamo sono gratis fanno avanti e indietro».


Che messaggio ci tiene a portare ai ragazzi che incontra?

«È in gioco la tua vita, la vita è una non ti verrà mai più ridata. Ne devi rendere conto a te stesso alla fine di ogni giornata. Puoi dire cavolate a tutti, ma non a te stesso. Abbiamo la possibilità di rimanere indistruttibili, di vivere anche dopo la morte. Questo lo sanno tutti i ragazzi che bene o male sono passati attraverso situazioni di morte. Quello che io ho fatto di bene negli anni sta con me, quello rimane per sempre, come la giustizia, l'amicizia, l'amore. Chiudo con una citazione, “alla sera della vita saremo giudicati su quanto abbiamo amato l'altro».

















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