La protesta della voce dimenticata delle comunità psichiatriche nel Lazio
Aggiornamento: 6 ore fa
Dopo l'approvazione della legge Basaglia, che nel 1978 ha disposto la chiusura dei manicomi, sono state le strutture comunitarie psichiatriche ad gestirne le conseguenze e ad avviarne la realizzazione. Ma nonostante i progressi, quella della salute mentale è una questione non ancora risolta
«Bastava ascoltare, guardare e negare, concedere. Una volta, una sola volta. Invece non lo hanno fatto. Perché per loro non eravamo degni di essere ascoltati. Perché i matti, i malati, vanno curati, mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani». Con questo passo tratto dal romanzo di Daniele Mencarelli Tutto chiede salvezza le comunità psichiatriche del Lazio, che sono una decina per un totale di quasi mille posti letto, danno voce alla loro protesta a causa della continua carenza di finanziamenti, della mancanza di una normativa adeguata e del crescente disinteresse da parte delle istituzioni competenti. Perché nonostante i progressi, quella della salute mentale è una questione non ancora risolta.
Comunità psichiatriche e la legge Basaglia
Dopo l'approvazione della legge Basaglia, che nel 1978 ha disposto la chiusura dei manicomi, sono state le strutture comunitarie per la cura del disagio psichico ad gestirne le conseguenze e ad avviarne la realizzazione.
Infatti per mantenere viva l’esperienza delle Comunità terapeutico-riabilitative fin dal 1980 è stata creata nel Lazio una rete di strutture e una normativa adeguata alla missione che le stesse si erano date nell’applicare la riforma voluta da Basaglia che si basa sull'idea di creare una psichiatria extra ospedaliera, «un ambiente non sanitarizzato, un clima accogliente e domestico dove il lavoro terapeutico punta ad un reinserimento sociale e ad una riabilitazione della persona sofferente. Insomma uno sguardo sulla malattia mentale che, nonostante riconosca la fragilità, guarda ad un orizzonte possibile. Non si parla dunque solo di aspetti tecnici o specialistici ma questo è un tema che richiede una responsabilità sociale e politica, oltre che etica», spiega il dottor Bruno Pinkus, responsabile clinico dei progetti terapeutico-riabilitativi della struttura Gnosis.
«Una rete di strutture che per anni è stata il vanto della Regione Lazio, invidiata e studiata anche in contesti internazionali, ad esempio, uno per tutti, come il Santa Maria della Pietà, fra le prime chiusure manicomiali nel mondo», scrive l'Associazione nazionale strutture comunitarie in psichiatria e psicologia clinica. Una rete che ora ha perso di interesse per le istituzioni.
Fermo al 2009 l'adeguamento tariffario
La denunciata perdita di attenzione si riflette oltre che sull’assenza nelle normative di requisiti che si interessino alla qualità clinica degli interventi, sul mancato riconoscimento economico per la gestione di questo tipo di strutture che pur essendo accreditate e quindi parte del servizio sanitario regionale, non godono degli asset strutturali ed economici delle strutture pubbliche, come può essere per gli ospedali, che vivono ed operano con bilanci, e costi, assai più sostanziosi.
Ora queste tariffe, «calcolate su standard operativi di personale, strutturali ed economici assai elevati», dovrebbero essere aggiornate periodicamente secondo indici legati almeno all’aumento del costo della vita e dei fattori produttivi (es. Istat e fattori economici internazionali).
«Così avviene in tutti i settori e anche nello specifico nella sanità», scrive l'Associazione. Per le Comunità terapeutiche e socio riabilitative in psichiatria, invece, «questo adeguamento è stato dimenticato e rischia di essere un diritto obsoleto e disconosciuto». L’adeguamento del tariffario è infatti bloccato al 2009, cioè a 16 anni fa. L'appuntamento per queste richieste è fissato per l'11 febbraio sotto il palazzo della Regione Lazio alle 10:30.
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