La storia di Francesca, mamma di siblings: «In migliaia vivono nell’ombra e portano un dolore muto»
Oltre la malattia: il peso silenzioso dei siblings, i giovani che si prendono cura dei fratelli con malattie. Quando una malattia rara colpisce una famiglia, il dolore si diffonde a tutti i suoi membri. Franesca De Acutis racconta la sua storia per dare voce a chi vive nell’ombra
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«La mia storia nasce da un’esperienza personale che mi ha cambiato la vita». La storia è quella di Francesca De Acutis, laurata in psicologia e mediatrice familiare, adesso presidente della sua associazione Ordinary Magic - Ets, centro che si occupa di interventi psico-socio-sanitari.
Un figlio con una malattia rara, scoperta 13 anni fa e l'inizio di invio di tante lettere indirizzate a chiunque avrebbe potuto dargli ausilio: dal mondo dello spettacolo, alla politica. A risponderle è stato dal primo momento l'allora consigliere capitolino Andrea De Priamo ( ora senatore e presidente della Commissione d'inchiesta per i casi Orlandi e Gregori).
È con lui, in veste di organizzatore, e con Andrea Presutto, che il 27 febbraio in Senato Francesca parteciperà al convegno dal titolo evocativo «Navigare nelle terre d'ombra: dare voce agli eroi silenziosi nel viaggio della malattia cronica e della disabilità». Sarà l’occasione di confronto per sensibilizzare l’opinione pubblica sul ruolo dei siblings e le difficoltà che affrontano come supporto ai fratelli e sorelle di persone con malattie croniche o disabilità.
Francesca ha quindi raccontato a la Capitale la sua esperienza.
Come inizia la tua storia?
Con un'influenza. Almeno pensavamo fosse solo quella. Invece non era così. Circa 13 anni fa, mio figlio allora 16enne si è ammalato di una malattia rara. Un evento che ha stravolto ogni equilibrio, un terremoto che ha spazzato via la normalità, lasciando al suo posto la lotta, la paura e l'incertezza. Per anni siamo entrati e usciti dall'Ospedale - il Gemelli di Roma -, dove medici straordinari della terapia intensiva pediatrica nella fase acuta e successivamente il reparto di Neuropsichiatria infantile si sono mobilitati per aiutarci a dare un nome a questo “mostro” che stava divorando nostro figlio. La mia storia quindi nasce da un’esperienza personale che mi ha cambiato la vita.
Hai anche altri figli?
Si, e nel vortice di esami, emergenze e speranze, c’era anche mia figlia, la sua gemella. Lei era sempre presente fisicamente, ma emotivamente... era sola. Io e mio marito eravamo completamente assorbiti dalla ricerca di risposte, dalla paura di perdere nostro figlio, dalla necessità di costruire una rete tra specialisti. E lei, silenziosamente, ha iniziato a sentirsi invisibile.
Come ha vissuto la situazione?
Con il tempo, il dolore ha trovato un'altra forma per manifestarsi: i disturbi alimentari. Un’altra battaglia, un’altra ferita. Una piaga della nostra società, soprattutto nel Sud Italia, dove i servizi sono pochissimi e le famiglie sono lasciate sole. Un emergenza che non si può ignorare. Credo che ognuno di noi possa essere artefice del cambiamento, anche quando sembra impossibile. Ma servono le persone giuste, al momento giusto.
Come ne siete usciti
Abbiamo affrontato un lungo percorso tra psicoterapia individuale e familiare, sostegno nutrizionale e tanto lavoro su noi stessi. Perché il problema non era solo il suo: eravamo noi, come genitori, che senza rendercene conto le stavamo trasmettendo un peso enorme. Lei aveva sviluppato sensi di colpa, sentiva di non avere il diritto di vivere la sua vita liberamente. Anche una semplice uscita per un caffè diventava motivo di disagio, perché suo fratello, a causa della malattia, non poteva più fare quelle cose. E noi, nel tentativo di proteggerlo, avevamo senza volerlo proiettato su di lei responsabilità che non avrebbe mai dovuto avere.
Ce ne sono tante di persone in situazioni simili?
Sì, oggi so che la nostra storia non è unica. So che ci sono centinaia, migliaia di siblings che vivono nell’ombra, che portano dentro un dolore muto e che spesso sviluppano problemi psicologici, ansia, depressione, difficoltà relazionali. E so che se non iniziamo a prenderci cura di loro oggi, domani il costo umano e sociale sarà altissimo.
Come avete affrontato questi periodi difficili?
Io e la mia famiglia abbiamo avuto la possibilità di affrontare tutto questo con l’aiuto di specialisti, anche privatamente. Ma cosa succede a chi non ha questa possibilità? Cosa succede a quelle famiglie che non possono permettersi un supporto psicologico? Non possiamo accettare che il benessere emotivo di un bambino dipenda dalle sue possibilità economiche. Per questo abbiamo voluto accendere i riflettori su questa realtà: la nostra sanità deve prevedere un preso in carico della famiglia nella sua totalità. Non basta curare il bambino malato, ma supportare chi gli sta accanto.
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