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Cinema di tutti. Intervista al produttore Pietro Valsecchi sul progetto «Apriamo una sala»

  • Edoardo Iacolucci
  • 8 apr
  • Tempo di lettura: 3 min

«L'importante è il fare». Abbiamo intervistato il produttore cinematografico Pietro Valsecchi che ha lanciato un progetto di azionariato popolare per salvare una delle sale cinematografiche dismesse a Roma: «Non è una colletta, è reale partecipazione»

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Pietro Valsecchi

Un cinema che non è solo un luogo dove vedere film, ma un presidio culturale condiviso, una comunità viva. È questa la visione di Pietro Valsecchi, celebre produttore (tra i tanti lavori, Marco Bellocchio, Marco Tullio Giordana, popolari serie tv per Mediaset, fino ai film dei record di Checco Zalone), che ha lanciato un’iniziativa ambiziosa: acquistare una sala dismessa con l’investimento di mille euro a persona, per poi rilanciarla come spazio aperto a film, incontri, idee. E Roma potrebbe essere solo il primo passo. La rivoluzione culturale comincia da una sala condivisa.

La Capitale lo ha intervistato per saperne di più.


Pietro Valsecchi, partiamo dall’inizio: di che tipo di iniziativa si tratta? Una colletta?

No, assolutamente. Non è una colletta, ma una partecipazione vera e propria. Ognuno di noi investe 1.000 euro per acquistare una sala, diventandone così co-proprietario. E, come ogni investimento, ci saranno anche utili e dividendi.


Quindi è una sorta di azionariato popolare?

Esattamente. È un investimento culturale e collettivo. Anche se i ricavi non saranno enormi, anche se parliamo magari di 30 o 40 euro l’anno, è comunque un rendimento del 4 per cento. L’importante è creare un meccanismo partecipativo e sostenibile.


Si è parlato del cinema Reale, a Trastevere. È quello il primo obiettivo?

Sto ancora valutando. Ho in mente una sala che proporrò nei prossimi giorni. Il cinema Reale è stato uno spunto iniziale, ma il progetto potrebbe partire altrove.


E chiunque può partecipare? Anche un cittadino comune?

Assolutamente sì. Stiamo preparando una piattaforma ufficiale, con il supporto di un notaio, dove ognuno potrà aderire e diventare proprietario di un “pezzettino” della sala. L’iniziativa è nata con un appello che ho lanciato, e ha già raccolto più di 5.000 adesioni.


Un progetto condiviso, orizzontale, ma con una visione molto ampia.

Sì, perché parte da tutti noi.

Se ci sono migliaia di persone già pronte a sostenere una sala, quella sala ha un pubblico garantito. È un segnale fortissimo. Non solo per l’economia del cinema, ma per la rinascita culturale dei quartieri, delle periferie, della città intera.


Sarà quindi un luogo dove ci si sente davvero parte di qualcosa?

Sì, sarà un luogo veramente meraviglioso. Perché ognuno comunque si sente partecipe di qualcosa che ha fatto su Roma. È proprio una cosa di riappropriazione del territorio, ma anche una cosa culturale.


C’è dentro un’anima sociale e culturale insieme.

Esattamente. Condividere un territorio con tutta la città, stare insieme, coinvolgere più persone.


Pensa che le istituzioni possano appoggiare l’iniziativa?

Credo di sì. Il Comune di Roma mi sembra molto sensibile a questi temi. Questo progetto inoltre, non è contro nessuno: né contro la Regione, né contro i municipi, né contro il Comune. Anzi, vogliamo lavorare con le istituzioni. È un’idea aperta, che unisce, non divide.


Perché quando un’idea è potente, non guarda le bandiere.

Esattamente. Noi abbiamo bisogno delle istituzioni. Vogliamo stare dentro le istituzioni. Vogliamo fare delle cose importanti per la città, per non farla morire, ma farla vivere.


E dal punto di vista della gestione? Chi curerà le attività del cinema?

Ovviamente ci affideremo a un operatore culturale competente, qualcuno del settore che sappia come rendere la sala viva.


E magari fare anche iniziative, eventi, non solo proiezioni…

Certo, il cinema ora si reinventa. Si possono fare tante iniziative. C’è un bellissimo esempio come la casa editrice Giunti che ha fatto un cinema meraviglioso a Firenze. Di idee ce ne sono tante, l’importante è il fare. E tutte le idee da mettere dentro sono ben accette. È un modo per ritrovarsi, per chiacchierare, per discutere, per animare qualcosa. Un grande scudo culturale. Ce ne vogliono tantissimi a Roma, soprattutto nelle periferie.


L’idea è quindi che il progetto non si fermi a una sola sala, giusto?

Esatto. Questa è solo la partenza. Se funziona, possiamo replicarlo in altre sale della città e poi in tutta Italia. La forza di questo progetto è nella condivisione: sociale, culturale, economica.


Un’ultima cosa: come è nata l’idea?

Ce l’avevo in testa da mesi. A un certo punto mi sono detto: «È il momento di agire». E così è nato lo slogan: «Apriamo una sala». È la dimostrazione che qualcosa si può fare davvero. Basta partire.

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