Friedkin, se ci siete date un segno
Gli americani hanno investito circa un miliardo di euro sulla società giallorossa ma fino ad oggi i risultati non sono stati all'altezza: i tifosi contestano e lamentano l'assenza della proprietà a Roma
Da «Tutti pazzi per i Friedkin» a «I Friedkin devono vendere la Roma» il passo è stato breve. Sembrano ormai lontani anni luce i sold out all'Olimpico: i tifosi giallorossi oggi sono in piena contestazione contro la dirigenza americana. La rottura tra le parti è arrivata dopo la cacciata di De Rossi e l’arrivo di Juric, il nome certamente meno gradito dai tifosi, ingolositi dalle voci che davano Allegri, Klopp e Tuchel come possibili sostituti: «Società di incompetenti», «un club ridicolo» si sono sfogati in molti sui social. Il passo successivo è stato lo sciopero del tifo, indetto dai capi della Curva Sud, che per due gare hanno lasciato il loro settore vuoto per mezz’ora, invitando gli altri tifosi a fare lo stesso.
Dal campo, però, nessuno scossone: la squadra ha continuato a inanellare risultati deludenti. La sosta, si sa, porta consiglio, così dopo giorni di riunioni fiume con i suoi più stretti collaboratori a Londra, Dan Friedkin ha deciso di puntare su Claudio Ranieri che, manco a dirlo, per la terza volta si è detto pronto a far risorgere la «sua Roma».
Il futuro, però, resta un grande punto interrogativo. Non mi pare di vedere la famosa luce in fondo al tunnel, ma solo dei fuochi fatui che non riescono a riaccendere le speranze dei tifosi. La solidità della proprietà americana è incontestabile: Dan Friedkin, 59 anni, moglie e quattro figli, proprietario e Ceo del Friedkin Group, secondo la rivista Forbes, occupa il posto numero 358 tra gli uomini più ricchi al mondo, con un patrimonio quantificato in 7,6 miliardi di dollari a settembre 2024.
Dal momento dell’acquisto, nell’agosto del 2020, la famiglia Friedkin ha investito circa un miliardo nella gestione della società giallorossa. Al 30 giugno 2023, ultimo bilancio consolidato approvato, l’esposizione della proprietà USA ammontava a 850 milioni di euro, di cui 199 milioni per acquisire il club, 26 milioni per l’Opa e il delisting e 622 milioni per far fronte al fabbisogno finanziario della società giallorossa. Insomma, la volontà di fare grande la Roma c’è stata ed è tangibile, andando a spulciare i bilanci, ma la formula del «chi più spende più guadagna» non sembra funzionare.
I risultati ottenuti fino ad oggi dai giallorossi non sembrano fare il paio con il miliardo di euro investito: un settimo posto e tre sesti posti in campionato, senza mai qualificarsi per la Champions League, una Conference League conquistata con Mourinho in panchina, una finale di Europa League persa tra mille polemiche (vi ricordate l’arbitro inglese Taylor?) e una semifinale di Europa League. Non il massimo per una società che, parola dei Friedkin, avrebbe dovuto primeggiare in Italia e in Europa.
Vincere nel calcio a Roma non è mai stato facile, ce lo dicono gli almanacchi, ma resta inspiegabile come, di fronte a un investimento così importante, la squadra giallorossa oggi si trovi in questa situazione. Il calcio non è mai stato una scienza esatta: l’unica certezza è che per vincere tanto, così come accade a Milano o a Torino, non bastano solo grandi investimenti. La Roma, soprattutto nell’ultimo periodo, ha dato la sensazione di attraversare un momento di confusione: via Mourinho, De Rossi e Juric sulla panchina, Tiago Pinto, Berardi, Scalera, Vergine, Wandell, Zubiria e Souloukou nello staff tecnico e dirigenziale.
Personalmente, sono d’accordo con quei tifosi che lamentano l’assenza dei Friedkin a Roma. Come dice il proverbio: «Quando il gatto non c’è i topi ballano». I calciatori, probabilmente, hanno approfittato di questa situazione: il fatto di non avere una proprietà presente, sempre sul pezzo, pronta a fare la voce grossa quando le cose non vanno, ha regalato troppe libertà ai giocatori. Non può bastare il solo Ghisolfi per risolvere i malumori di uno spogliatoio. Qualcuno vede lo stadio come la panacea di tutti i mali, ma io dico che può solo risanare i bilanci, perché per avere una squadra forte e vincente serve molto, ma molto di più. Ora, però, bisogna pensare al presente, perché la classifica, dopo la sconfitta a Napoli, inizia a fare paura.
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