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Andrea Garibaldi

Com’è cambiata l’informazione

Di Andrea Garibaldi, direttore del sito Professione Reporter

Ho cominciato a fare il cronista nel 1996, in quell’enorme salone semibuio, rumoroso e polveroso della Cronaca di Roma del Messaggero, primo piano, via del Tritone 152. Agli ordini del Re dei capocronisti, Silvano Rizza, personaggio da film americano.

Si fumava liberamente, si scriveva con la macchina da scrivere, le correzioni venivano fatte a biro. Eravamo una trentina, compresi i capi e una efficientissima collaboratrice -Vanna Tosi- divisi in turni di mattina, pomeriggio e notte.

Ricordo che i telefoni, quelli fissi, su ciascuna scrivania suonavano in continuazione. Dall’altra parte del filo c’erano soprattutto lettori, volevano parlare di ingiustizie, disagi, certe volte di belle cose. Prendevamo nota, riferivamo ai capi e uscivamo a verificare.

Ricordo che c’era una stanzetta, accanto al salone della Cronaca: serviva a ricevere i lettori che venivano direttamente al giornale. Chi era libero li accoglieva, ascoltava, prendeva appunti, faceva fare foto.


Macchina da scrivere giornalismo
Credit: Pixabay

Questo per dire: c’era un gran collegamento fra il giornale e i cittadini. C’era la fiducia che il giornale potesse cambiare, addirittura risolvere i problemi. E succedeva, in effetti, perché i poteri -il Comune in particolare- rispettavano i giornali, li temevano, cercavano di intervenire, anche per fare bella figura.

Ricordo che eravamo spesso in giro, con le auto del giornale, formazione da tre: autista, fotografo e cronista, e andavamo dappertutto, nei quartieri più lontani e disperati, in case pericolose dove non eravamo ben accolti, o dove ci aspettavano con ansia. Eravamo soli, in questi posti, o al massimo c’erano due, tre colleghi delle altre testate cittadine.


Da allora sono passate alcune ere geologiche. E non farò quello che rimpiange i tempi della giovinezza.

Negli anni ’90 è arrivato Internet, poi i cellulari, poi -nel nuovo secolo- i social. Mezzi che in teoria potenziano i cronisti, ma che invece li hanno fatti sentire ridotti ai margini. Le testate si sono moltiplicate e oggi sui fatti di cronaca si fa a spintoni, fra fotocamere e videocamere.

I telefoni nelle redazioni suonano meno, i cittadini non si presentano nelle portinerie dei giornali, i cronisti escono più di rado. Le fonti (Sindaco, Assessori, Questore, Prefetto, industriali, sindacalisti) preferiscono rivolgersi direttamente al popolo, senza mediazioni.


E’ vero, i nuovi mezzi hanno tolto ai giornali il monopolio dell’informazione, le notizie arrivano da tutte le parti e ognuno può pescare quelle che preferisce. I cittadini hanno meno fiducia nelle capacità dei media di risolvere i problemi e hanno cominciato a non comprarli più. Colpa delle tecnologie, certo, ma anche dell’incapacità dei giornali di preservare e incrementare quella fiducia. Preferendo occuparsi di temi “più grandi”, o più leggeri, frequentando troppo i centri storici.

Risultato oggettivo: i cittadini sono più soli di fronte ai poteri.


La soluzione non è il ritorno al passato. E’ l’utilizzo dei nuovi strumenti per fare buon giornalismo. Che significa stare dalla parte delle persone, cercare di raccontare le cose come stanno, controllare i poteri. Oggi la diffusione delle videocamere spinge i cronisti a non andare a vedere di persona e questo è sbagliato. Vanno sempre consumati “suole e tacchi”, ma c’è anche un modo di consumarli nel web, perché anche il web è pieno di notizie da scovare.

La scrittura non è più l’unico mezzo per raccontare, oggi una storia è composta di parole, video, foto, adesso anche Intelligenza artificiale. E il cronista dovrebbe avere confidenza con tutti questi campi. Lo scopo finale è sempre lo stesso: aumentare la conoscenza, la partecipazione, la capacità di vivere la propria società. Il giornalismo muore soltanto se i giornalisti non ci credono più. Andrea Garibaldi, nato a Roma nel giugno 1955, laureato in Lettere moderne con una tesi sul linguaggio di Eduardo De Filippo.


Dal 1978 al 1998 giornalista al Messaggero, dove è stato cronista, inviato e vice capo della Cronaca di Roma. Dal 1998 al 2015 al Corriere della Sera, dove è stato capo della Cronaca di Roma e inviato.

È direttore del sito professionereporter.eu che tratta di giornalismo in Italia e nel mondo: notizie (soprattutto) e opinioni. Tutte le opinioni riportate nell'articolo sono immagine esclusiva del pensiero dell'autore

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