Il Colosseo è libero dal bagarinaggio ma per CoopCulture la multa «desta notevole perplessità»
- Giacomo Zito
- 9 apr
- Tempo di lettura: 3 min
La maxi multa dall’Antitrust attiva CoopCulture che si difende e annuncia ricorso. Ecco cosa contiene il testo dell'istruttoria

Per anni accedere al Colosseo — simbolo universale della storia e dell’identità italiana — è stato un’impresa più ardua di quanto la sua imponenza lasci intendere. Non per crolli strutturali o limiti di capienza, ma per un sistema di gestione dei biglietti che ha trasformato uno dei luoghi più visitati al mondo in un campo di battaglia tra algoritmi, speculatori digitali e turisti ignari.
Lo scandalo, portato alla luce da un’inchiesta giornalistica e confermato da una lunga istruttoria dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), ha rivelato un intreccio tra la domanda turistica internazionale e l’offerta digitale, culminato in una maxi multa da 20 milioni di euro ai danni di CoopCulture — affidataria dal 1997 al 1 maggio 2024 del servizio di biglietteria del Parco Archeologico del Colosseo — e sei agenzie di viaggio.
La concessionaria, dalla voce della sua direttrice Letizia Casuccio, ha quindi espresso perplessità, affermando che «la gestione della vendita dei biglietti è stata condotta in stretta conformità con le direttive e le regolamentazioni imposte dalla Direzione del Parco».
Un sistema fuori controllo
Secondo quanto raccolto dall'indagine dell'Antitrust, tra il 2019 e il 2024 milioni di visitatori hanno sperimentato lo stesso paradosso: i biglietti al prezzo base di 18 euro risultavano sempre esauriti sul sito ufficiale, mentre erano magicamente disponibili — e a prezzi più che raddoppiati — su piattaforme come GetYourGuide, Musement, Tiqets e Viator. Una distorsione del mercato che ha avuto, secondo l’Antitrust, la complicità delle agenzie di viaggio e l'omissione di controllo da parte di CoopCulture, colpevole di non aver posto freni efficaci al fenomeno.
Bot, autoclick, freezing dei carrelli, acquisti simultanei da account multipli: le tecniche messe in campo dai grandi operatori per accaparrarsi i ticket erano tutt’altro che artigianali. Un biglietto veniva acquistato anche 2.000 volte al giorno da singoli tour operator, mentre i consumatori diretti, ossia i turisti, rappresentavano appena il 25-30% degli acquirenti sulla piattaforma consumer.
Quando il pubblico serve il privato
Il cuore del problema risiedeva in una distorsione sistemica: un bene pubblico, patrimonio dell’umanità, è stato gestito secondo dinamiche parzialmente orientate al mercato. CoopCulture, pur essendo concessionaria del servizio di biglietteria, ha tratto importanti benefici economici dalla vendita di biglietti abbinati a proprie visite didattiche e altri servizi accessori. In diversi casi, ha riservato slot orari interi a questi pacchetti, sottraendoli alla disponibilità del pubblico generale. Il risultato è stato un doppio binario: da una parte il cittadino comune, spesso impossibilitato a trovare biglietti al prezzo base; dall’altra, un mercato parallelo dove gli stessi titoli erano accessibili solo attraverso costosi servizi aggiuntivi.
Eppure, le soluzioni erano a portata di mano. L’introduzione tardiva di sistemi antibot e dell’obbligo del biglietto nominale ha mostrato che bastavano pochi interventi tecnici per scoraggiare i bagarini digitali. Da maggio 2024, con il ritorno della gestione diretta al Consorzio Nazionale Servizi, le nuove regole hanno iniziato a produrre effetti: biglietti nominativi, numero chiuso per ogni prenotazione (massimo 25), verifica del documento all’ingresso. Il risultato? Turisti che finalmente riescono a entrare nel monumento simbolo della Città Eterna senza dover passare da un mercato parallelo.
La replica di CoopCulture: «Una decisione influenzata dalla pressione mediatica»
In risposta al provvedimento dell’Antitrust, CoopCulture ha respinto in modo netto le accuse contenute nell’istruttoria, parlando di una ricostruzione che sarebbe «più orientata a rispondere alla pressione mediatica che a fare chiarezza». In una nota ufficiale, la direttrice generale Letizia Casuccio ha rivendicato la correttezza dell’operato della società, ricordando come «durante tanti anni di gestione in luoghi di cultura di primaria importanza, CoopCulture non sia mai stata oggetto di contestazioni da parte delle istituzioni competenti» e abbia contribuito «a una crescita costante dei visitatori e dei servizi a loro destinati».
La società ha inoltre espresso «notevole perplessità» per il fatto che parte delle contestazioni faccia riferimento al periodo della pandemia, sottolineando che proprio in quei mesi CoopCulture si sarebbe impegnata a garantire la continuità dei servizi e la tutela occupazionale, pur in un contesto di forte incertezza. Quanto alla gestione dei biglietti, si ribadisce che sarebbe avvenuta «in piena conformità con le direttive del Parco Archeologico del Colosseo», con l’adozione progressiva di strumenti tecnologici per limitare l’uso di bot e automatismi nell’acquisto massivo. La società ha infine annunciato di voler impugnare la sanzione: «Abbiamo deciso di affidarci all’Autorità Giudiziaria, confidando totalmente nella Magistratura».