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Titty Santoriello Indiano

Codice della strada, più difficili zone 30 e bike lane, Casu (Pd):«La riforma è un attacco ai sindaci»

Aggiornamento: 8 nov

Nelle strade si continua a morire. Solo a Roma nel 2023 hanno perso la vita 154 persone mentre gli incidenti provocano ogni giorno decine di ferimenti, come è accaduto ai tre vigili urbani proprio in queste ore. Ma il nuovo Codice della strada, che sarà votato al Senato il 19 novembre, è considerato inefficace sul versante della sicurezza e della prevenzione e renderà più difficile il lavoro dei sindaci. Ne abbiamo parlato con Andrea Casu, vicepresidente della commissione Trasporti alla Camera

Incidenti stradali Roma
A sinistra: scontro stradale, a destra il parlamentare Andrea Casu

E' prevista il 19 novembre la votazione in Senato che, con ogni probabilità, approverà il nuovo Codice della strada. Una riforma con un impianto repressivo che inasprisce le pene per chi guida dopo aver assunto alcol o droga ma che, nel contempo, è considerata inefficace sul versante della prevenzione. Una riforma che non si occupa delle principali cause degli scontri stradali, come la disattenzione e l'eccesso di velocità. E che rende molto più difficile per i comuni realizzare zone 30 o corsie ciclabili, depotenziando il ruolo dei sindaci. Eppure nelle strade si continua a morire: solo a Roma nel 2023 hanno perso la vita 154 persone e gli incidenti provocano ogni giorno decine di ferimenti, come è accaduto nella Capitale ai vigili urbani proprio in queste ore.

Ne abbiamo parlato con Andrea Casu, parlamentare del partito Democratico, vicepresidente della commissione Trasporti alla Camera che ha definito il nuovo codice della strada «una riforma strabica».


Partiamo dalle parole. Lei ha un problema con il termine «incidenti», perché?

Non chiamiamoli incidenti: nel momento in cui una persona si mette alla guida senza essere in condizione di poterlo fare o se oltrepassa forsennatamente i limiti di velocità, se poi avviene una tragedia, un investimento, un danneggiamento non è un incidente ma è la logica conseguenza di scelte o comportamenti personali. Infatti nel nuovo Codice della strada avevamo chiesto di eliminare la parola «incidente», di chiamarli scontri o sinistri, di smettere di utilizzare una terminologia che richiama ad una deresponsabilizzazione. Siamo tutti responsabili di quello che succede nelle nostre strade.

 Chi si occupa di sicurezza stradale è critico con questa riforma, nonostante verranno punite più severamente le persone che guidano in stato di ebbrezza o dopo aver assunto sostanze stupefacenti. Lei come la vede?

E’ una riforma strabica, vede alcune cose ma non ne vede altre. E’ una riforma che si accanisce nei confronti di alcuni comportamenti - che sono comunque gravi e vanno repressi - come l’abuso di sostanze alcoliche o l’utilizzo di stupefacenti. Certamente nessuno deve mettersi alla guida se non è in condizione. Ma nello stesso tempo è una riforma che non affronta come si dovrebbe altre questioni altrettanto gravi, e che causano ancora più tragedie, come la disattenzione. Una riforma che non fa nulla per contrastare la cultura della velocità - che corre molto più dei limiti - e che ha avviato una crociata contro gli autovelox, contro le città 30, contro una linea che si sta affermando a livello internazionale da Barcellona, a Parigi, da Copenaghen a Londra ma anche in alcune città italiane come Bologna o in quelle governate dal centro destra come Olbia o Treviso.


 Le associazioni che si battono per la sicurezza stradale e per la mobilità attiva saranno in piazza a Roma il 17 novembre per chiedere ancora una volta di bloccare questa riforma. Cosa ha fatto il partito Democratico per fermarla?

Noi abbiamo cercato in Parlamento di correggere l’impianto della legge, di portare la voce dei familiari delle vittime che chiedevano interventi sul tema della disattenzione e della velocità. Personalmente mi sono impegnato in un emendamento sulla questione della formazione permanente.


Cioè?

Bisogna considerare che la patente di guida è come un porto d’armi. E’ un’arma che può uccidere in qualunque momento. E dunque noi cambiamo il codice della strada, con decine di nuovi articoli e di adempimenti, ma guidiamo con la stessa patente. Non è previsto nel nuovo codice un momento di formazione obbligatoria per tutti e un test per dimostrare di conoscerne i cambiamenti. Quante persone violeranno il nuovo codice della strada perché non sanno cosa c’è scritto? Chi come me ha preso la patente 25 anni fa o addirittura prima lo ha fatto in un momento in cui nelle strade non esistevano mezzi di trasporto che si muovono ora in città. Oggi periodicamente ci chiedono conto delle condizioni fisiche ma non si verifica se si conoscono le nuove regole. Con un nuovo codice della strada anche la patente dovrebbe essere confermata.


E la maggioranza cosa ha deciso?

La destra ha fatto la scelta di non intervenire sulla formazione permanente. Ha scelto un’altra strada: quella di accanirsi su alcuni comportamenti: inasprisce le sanzioni ma non previene le tragedie.

 

In che modo la riforma incide sulle decisioni degli comuni?

La riforma è un attacco ai sindaci che sono in prima linea nel determinare delle scelte per la città insieme alla loro comunità locali. Chi deve decidere dove serve la pista ciclabile o la zona a traffico limitato? Chi deve decidere il limite di velocità di una strada urbana? I sindaci, nell’ambito delle leggi nazionali ma con la possibilità di fare le scelte che ritengono più utili per salvare la vita dei propri cittadini. E invece questa riforma complica enormemente, invece che semplificare, il loro lavoro e richiama ad un iper attivismo del ministro Salvini che si vuole arrogare il diritto di definire nel dettaglio dal Ministero (delle Infrastrutture e dei Trasporti, ndr) a Roma le scelte che riguardano invece le singole comunità. Altro che autonomia…

 

Bike to school

Ma concretamente, cosa accade se un sindaco intende istituire una zona 30 o limitare la velocità in alcune aree della città?

Se il sindaco decide di estendere una zona 30 anche alle strade limitrofe ad una scuola o a un parco o a una piazza o a un intero quartiere - perché sa che tutte le mattine sono frequentate da bambini, pedoni o ciclisti che devono essere messi in sicurezza - dovrà motivare nel dettaglio questa scelta, strada per strada, ad esempio spiegando che si tratta di vie pericolose perché lì sono morte delle persone.


Però un sindaco potrebbe stabilire una zona 30 anche se in un quadrante non ci sono già stati scontri mortali proprio per prevenire le tragedie...

Esatto, o dobbiamo sempre aspettare il morto? Dal centro destra alcuni dicono che questo è un ragionamento ideologico, che così si crea una dittatura del pedone. Forse non siamo tutti pedoni che meritano di essere protetti anche quando scendiamo da un mezzo di trasporto qualunque esso sia? Ma il punto non è questo. Se non difendiamo i diritti dei più deboli, il risultato è che quando si scontrano con i più forti vengono schiacciati. Saranno poi i cittadini a decidere nelle urne se quel sindaco ha fatto bene oppure no a dare precedenza alla sicurezza e alla prevenzione. In definitiva se carichi i comuni, già vessati dai tagli, di costi amministrativi, di organizzazione, di adempimenti complicatissimi, è chiaro che stai disincentivando la sicurezza stradale.  

Sono sempre di più le biciclette sulle strade, anche a Roma. Una città in cui negli ultimi anni si stanno progettando nuove piste ciclabili ma che sconta un ritardo enorme rispetto ad altri comuni. Il nuovo codice della strada secondo lei scoraggia la mobilità ciclabile?

La riforma non contempla le bike lane togliendo, cos, la possibilità di creare una porzione della strada dedicata ai ciclisti attraverso la segnaletica orizzontale. Quando un’amministrazione non ha la possibilità, anche economica, di costruire una ciclabile non è meglio avere la bike lane invece che nulla? In aula abbiamo posto, inoltre, il tema del sorpasso delle biciclette che deve essere effettuato ad un metro e mezzo di distanza. Nel nuovo codice è stato scritto «ove possibile». E quindi cosa succede «ove è impossibile?», si investe il ciclista? E ancora: in alcune aree è previsto oggi l’obbligo di precedenza ai pedoni. Adesso con la riforma si è preferita la formula «si raccomanda di dare precedenza ai pedoni». Ecco tutto questo va nella direzione opposta ad una maggiore sicurezza stradale.

 

Oltre che la costante perdita di vite umane, quali sono le conseguenze se non si investe sulla prevenzione stradale?

Come sottolinea l’ultimo rapporto Dekra sulla sicurezza stradale, ammontano a oltre 22 miliardi i costi sociali imputabili agli scontri stradali, considerando i danni alle persone e alle cose. Se puntassimo alla prevenzione, questi 22 miliardi potremmo utilizzarli per potenziare la sanità, il trasporto pubblico locale o per impiegare gli insegnanti nei nuovi asili nido costruiti grazie al Pnrr. Potrebbero essere una boccata di ossigeno per le nostre finanze. E sono soldi che, invece, noi buttiamo. Potremmo risparmiare, se scrivessimo regole che mettono al primo posto la sicurezza stradale e l’utilizzo di tecnologie per ridurre scontri e morti. Il centro destra e il Governo buttano dalla finestra una valanga di soldi per difendere un sistema che ha dimostrato la sua insostenibilità.

 

Pene più severe anche per chi utilizza lo smartphone alla guida. Questa è una novità, di che si tratta?

Nei lavori parlamentari ho presentato un emendamento sul tema dell’aggravante per chi guida utilizzando lo smartphone. Oggi il nostro ordinamento prevede l’aggravante di omicidio stradale se si uccide una persona dopo aver bevuto o assunto stupefacenti. Quindi c’è l’aggravante se bevi due bicchieri di vino ed io penso che sia giusto. Ma se uccidi una persona mentre usi lo smartphone al momento non c’è l’aggravante. Forse perché questi sono comportamenti comuni su cui si vuole evitare di intervenire. E invece sono pericolosissimi: in 7 secondi che impieghi per vedere una notifica al telefono, se vai a 50 km orari, è come se guidassi a occhi chiusi per cento metri.

 

Roma, insieme a Milano, ha un triste primato, quello dei pedoni che muoiono per strada. Proprio in queste due città si registra il maggior numero di decessi rispetto al resto del Paese. Si è fatto un'idea delle cause? C'è un problema culturale rispetto al tema dell'eccesso di velocità?

Roma e Milano sono in testa a molte classifiche perché sono le città più grandi e anche perché ogni giorno sono vissute non solo dagli abitanti ma anche da chi le attraversa per andare a lavoro o dai turisti. Ma so che le due amministrazioni stanno lavorando molto sulla sicurezza stradale per ridurre il più possibile l’impatto devastante di questi numeri, anche promuovendo la partecipazione, insieme alle consulte e alle associazioni. Questa per la sicurezza stradale è una battaglia che va combattuta ogni giorno e le amministrazioni guidate da Gualtieri e Sala ce la stanno mettendo tutta.



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