Bio nel Lazio, nell'ultimo anno diminuiscono i produttori
Negli ultimi 10 anni il comparto dell’agricoltura biologica si è imposto sul mercato. Ma nel 2023, nel Lazio, si è registrata una diminuzione della produzione bio dell’1,5%.Cosa sta accadendo? È un segnale di crisi del settore? Ne abbiamo parlato con Fabio Del Bravo, dirigente Ismea
Negli ultimi 10 anni il comparto dell’agricoltura bio si è imposto sul mercato sia per merito della Politica agricola comune (PAC) in ambito europeo sia per le richieste di una parte dei consumatori attenti ai cibi sani e sostenibili. Nel Lazio dal 2014 al 2022 gli operatori del settore biologico sono pressoché raddoppiati passando da 3.247 a 5.686. Ma, nell’ultimo anno, si è registrata una flessione dell’1,5%. Secondo i dati Ismea del nuovo rapporto «Bio in cifre», riferiti al 2023, oggi i produttori, gli importatori e i preparatori (coloro che si occupano della trasformazione delle materie prime), sono 5600. È un campanello di allarme di una crisi del settore? Quali sono le difficoltà che incontrano gli agricoltori nel percorso di conversione al bio? E ancora. A che punto è il marchio bio in termini di fiducia da parte dei consumatori? E lo stato di salute degli agriturismi nel Lazio? Ne abbiamo parlato con Fabio Del Bravo, dirigente Ismea, Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare,
Quali sono le principali colture agricole a biologico nel Lazio?
Nel Lazio ci sono circa 173 mila ettari a biologico, pari al 27 per cento della superficie agricola totale. Il Lazio è tra le prime 7, 8 regioni in Italia da questo punto di vista. Le superfici principali sono destinate a prati e pascoli, quindi sono a bassa intensità agricola, ma ci sono anche il 16 per cento circa di cereali, il 7 per cento di frutta e frutta in guscio soprattutto, circa l’8 per cento di ulivi e un 4 per cento di ortaggi. Queste sono le categoria principali nel Lazio.
Dal 2014 al 2022 gli operatori del biologico sono raddoppiati. Mentre nell’ultimo anno si rileva una lieve diminuzione, cosa sta accadendo?
Motivazioni specifiche è difficile trovarle. Possiamo fare qualche ipotesi. L’agricoltura biologica, per una parte, dipende ancora dagli aiuti della politica agricola comunitaria che vengono erogati a livello regionale. Basta un bando in ritardo per generare una fuoriuscita di aziende (dal percorso del biologico, ndr). C’è anche un pò di difficoltà sul mercato: il bio non è nella fase in cui il marchio ha un massimo di riconoscibilità. Ci sono altri prodotti - orientati alla sostenibilità - che pur non essendo certificati, fanno concorrenza. Quindi il mercato del bio non sta spingendo al massimo.
Molti agricoltori che si impegnano nell’agricoltura sostenibile lamentano la difficoltà del processo di conversione al biologico. Quali sono le fasi di questo percorso?
Un agricoltore che vuole convertirsi al biologico deve sottoporsi al controllo di un organismo riconosciuto, un percorso che può durare fino a 3 anni nei quali l’azienda non è biologica ma non è neanche convenzionale. Bisogna quindi assoggettarsi a dei controlli, adottare delle tecniche, darsi una organizzazione nuova, avere alcune spese ed entrare in un mercato alternativo che offre delle opportunità interessanti anche nell'ambito di aiuti della politica agricola comunitaria che in questa fase sono piuttosto consistenti.
In concreto a chi può rivolgersi, per essere sostenuta, un’azienda agricola che vuole convertirsi al biologico?
Ci sono dei consulenti, delle associazioni e gli organismi di controllo che possono supportare il processo di conversione. Ci sono anche i tecnici regionali che possono essere interrogati sulle opportunità che offre la regione per l’agricoltura biologica
Quali strumenti propone per implementare il comparto dell’agricoltura bio e per favorire la fiducia dei consumatori?
Innanzitutto la conoscenza e la consapevolezza del consumatore: biologico non è soltanto un prodotto ma è un modo di condurre l’azienda, un impatto diverso rispetto al territorio, alle acque, alla gestione del terreno che sicuramente ha una prospettiva di sostenibilità a livello piuttosto alto.
C'è un cambiamento rispetto al passato nella percezione dei prodotti bio?
Il biologico fino a pochi anni fa era un marchio molto efficace: ha vissuto un momento in cui per una platea di persone - che aveva già una certa propensione al mangiare sano e di qualità - è stato un marchio molto forte. Ora abbiamo saturato il mercato di quelli che erano già interessati e in questo momento l'obiettivo è ampliare la platea dei consumatori, anche a quelli che non conoscono il biologico. Ci sono tanti marchi in questo momento che ronzano intorno al biologico che stanno togliendo efficacia al marchio.
Lei si fida del marchio «bio»?
In Italia abbiamo un sistema di controlli molto efficace, fin troppo ridondante. Il bio ha un ulteriore livello di controllo da parte degli organismi preposti. Qualche furfante c’è come in tutti i settori ma il livello di controlli è molto elevato.
Quale è la situazione degli agriturismi bio nel Lazio?
Nel Lazio ci sono circa 1300 agriturismo e circa il 34 per cento di questi è situato in un’azienda agricola biologica. Attraverso l’agriturismo, l’azienda agricola promuove e vende i propri prodotti, quindi salta delle fasi della filiera alimentare, riesce a venderle ad un prezzo remunerativo e questa è una strategia efficace. Chi è riuscito a mettere in piedi un agriturismo che funziona rappresenta un modello interessante da seguire.
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