Acca Larenzia tra storia, polemiche e le narrazioni di chi ancora oggi la celebra
Il ricordo di Acca Larenzia è infatti per l'opinione pubblica costante occasione di dibattito financo sulle necessità storiche su cui si basa l’ordinamento costituzionale italiano
L’estrema destra italiana oggi celebra a via Acca Larenzia, nel quadrante sud-est della Capitale, i 47 anni dal 7 gennaio 1978, giorno in cui persero la vita a seguito di due diversi scontri con arma da fuoco tre militanti del Movimento Sociale Italiano. Una celebrazione che ogni anno si intreccia in una contrapposizione istituzionale apparentemente irrisolvibile tra chi ne chiede la definitiva proibizione, chi ne consente, per ragioni diverse, ogni anno la riuscita e chi, spesso silenziosamente, ne difende le intenzioni.
Il ricordo di Acca Larenzia è infatti per l'opinione pubblica costante occasione di dibattito financo sulle necessità storiche su cui si basa l’ordinamento costituzionale italiano. Il tutto parte da un rito celebrato da centinaia di militanti di diversi schieramenti di estrema destra, riuniti per mettere da parte le divergenze e ribadire la loro presenza in ricordo delle tre vittime.
La storia del triplice omicidio di Acca Larenzia
A via Acca Larenzia (o Larentia, se si vuole rispettare la trascrizione latina) è presente una vecchia sede del Movimento Sociale Italiano. L’Msi fu un partito d’ispirazione fascista chiuso nel 1995, dopo una scissione (nota come “svolta di Fiuggi”) tra la sua corrente più massimalista e quella più istituzionale.
Il suo simbolo, una fiamma tricolore, è ancora oggi presente nel logo del partito di governo, Fratelli d’Italia, che ne rivendica la memoria pur mantenendo un certo apparente distacco con l’area più reticente all’accettazione delle regole costituzionali e democratiche.
Quella sede, oggi in mano a un’associazione nell’orbita dell’organizzazione di estrema destra Casapound, fu luogo di un duplice evento che portò alla morte dei tre militanti dell’Msi Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti e Stefano Recchioni.
Nel tardo pomeriggio del 7 gennaio 1978, cinque militanti si apprestavano a uscire dalla sede per un volantinaggio nelle strade della capitale. Si trattava di Giuseppe D’Audino, Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti, Maurizio Lupini e Vincenzo Segneri.
Attorno alle 18.30 il ventenne Bigonzetti stava aprendo la porta della sede, che porta il nome della via, quando venne freddato da un colpo alla testa sparato da un’arma da fuoco proveniente dall’adiacente via Evandro. Il 18enne Ciavatta tentò di scappare all’esterno ma anche lui venne colpito. Morì poco dopo nel tragitto verso l’ospedale a causa delle ferite riportate. Si salvarono invece gli altri che si protessero all’interno della sede.
La banda di assalitori, composta da cinque o sei persone, riuscì a scappare a bordo di un'auto facendo perdere le proprie tracce. La notizia dell’assalto si sparse quindi tra tutti i militanti missini che, in massa, si recarono nella sede seguiti da giornalisti e carabinieri.
Qui, secondo diverse dichiarazioni riportate in seguito, un gesto provocatorio scatenò la rabbia dei militanti che si scagliarono contro le forze dell’ordine. Durante gli scontri venne raggiunto da un colpo d’arma da fuoco un altro militante dell’Msi, della sezione di Colle Oppio, il diciannovenne Stefano Recchioni. Fu lui la terza persona a perdere la vita a seguito dei fatti accaduti quel giorno. Come per Bigonzetti e Ciavatta, però, nemmeno per Recchioni è tutt’oggi chiaro chi abbia sparato quei colpi.
La rivendicazioni e i misteri legati ad Acca Larenzia
L’assalto alla sede di Acca Larenzia venne rivendicato dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale, organizzazione massimalista di estrema sinistra la cui natura e strutturazione rimane opaca.
Sulla composizione del gruppo si hanno infatti ancora molti dubbi, data anche la presenza effimera che ha avuto nel corso del tempo. Le indagini su Acca Larenzia portarono comunque in tutto a cinque mandati d’arresto tra alcuni militanti di Lotta Continua. Uno di loro si suicidò, un’altra persona non venne mai catturata mentre gli altri tre vennero scagionati per mancanza di prove.
L’unica certezza è l’arma del delitto, una mitraglietta Skorpion, poi collegata dieci anni dopo ad altri omicidi commessi e collegati all’organizzazione massimalista di estrema sinistra Brigate Rosse.
Anche in merito alla morte di Recchioni non ci sono ancora verità. Il capitano dei carabinieri accusato inizialmente di aver sparato è stato successivamente scagionato da ogni accusa.
Il ricordo e le rivendicazioni
Acca Larenzia rimane quindi un evento tragico nella storia della città (e non solo) nonché una ferita aperta per i militanti di estrema destra che ogni anno si recano nella via a rendere i loro omaggi. Una rivendicazione particolarmente sentita dalle diverse componenti delle organizzazioni di estrema destra della città anche infine a causa della mancanza di giustizia e verità sui fatti avvenuti quel giorno.
Se Acca Larenzia ancora oggi rimane quindi una data particolarmente importante è anche dovuto dal fatto che nel corso degli anni la narrazione intorno all’evento stesso si è particolarmente ingrandita.
La volontà di vedere quell’evento come il punto di partenza di una seria successiva di azioni di particolare ferocia legate dalla volontà e dalla rabbia di ottenere giustizia per quelle morti.
Allo stesso tempo, però, Acca Larenzia appare oggi anche come una celebrazione che raduna e dà forza a diverse realtà della galassia nera cittadina (e non solo) che vedono in quel ricordo l’occasione per dare forza a una narrazione apparentemente anacronistica.
Perché al di là delle polemiche legate alle particolari simbologie legate ad Acca Larenzia (come il rito che ogni 7 gennaio si celebra, ovvero l’urlo «presente!» e il gesto del saluto romano compiuto dalle centinaia di persone lì presenti), rimane per quelle stesse organizzazioni la vivida memoria di ciò che non è successivamente avvenuto. Ovvero l’ottenimento di una verità giuridica, senza la quale continuerà a rinverdire una narrazione che contrappone le vittime di quella giornata a un’istituzione incapace di fare i conti con il proprio passato
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