8 marzo, il corteo contro il patriarcato è anche un «no» alle guerre e alle politiche del Governo
L'appuntamento di «Non una di meno» è per sabato 8 marzo alle 10 in piazza Vittorio Emanuele II
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«Lotta, boicotta, sciopera» è lo slogan del corteo di «Non una di meno» che sfilerà nelle strade di Roma sabato 8 marzo. Un'occasione per riflettere sui diritti delle donne diventata negli anni una mobilitazione transfemminista che, rifiutando il binarismo di genere, accoglie tutte le lotte di liberazione contro il patriarcato. Non solo. In questa edizione la protesta si amplia toccando la questione cruciale dei conflitti internazionali. «Lottiamo contro violenze, guerre, colonialismo e capitalismo», fanno sapere le attiviste.
«Il percorso del corteo per «boicottare il sistema patriarcale»
Il corteo, in un percorso di poco più di 3 km, partirà alle 10 da piazza Vittorio Emanuele II, percorrerà via dello Statuto, via Merulana, via Labicana, arriverà in piazza del Colosseo e proseguirà per via Celio Vibenna, via di San Gregorio, piazza di Porta Capena, viale Aventino, via del Circo Massimo per concludersi nel vicino piazzale Ugo la Malfa. La «chiamata» è allo «sciopero transfemminista dal lavoro produttivo riproduttivo e di cura, dei consumi e dai generi per boicottare un sistema sociale patriarcale sempre violento», sottolineano le organizzatrici.
Lo sciopero è anche contro la guerra
Lo sciopero è anche «contro la guerra perché l'escalation bellica è esponenziale e non vogliamo esserne né vittime, né complici». La guerra, aggiunge Non una di meno, «è orribile realtà nelle vite di milioni di persone: dal genocidio a Gaza e in Cisgiordania, la guerra dilaga in tutto il Medio-Oriente». Inoltre il conflitto «spacca l'Europa sul confine russo-ucraino, divampa in Congo e in Sudan».
No al «Modello Caivano»
Non una di meno manifesta, poi, contro «il governo Meloni e l'asse dei governi ultra-reazionari» ma anche «contro il Ddl Sicurezza in discussione che esaspera norme di segregazione e punizione della povertà e criminalizzazione del dissenso, e contro le zone rosse». Il riferimento esplicito è al cosiddetto decreto Caivano «in risposta alle violenze sessuali contro due bambine». Un «modello» che il Governo ha deciso di esportare in altre periferie d'Italia, tra le quali c'è Quarticciolo a Roma. Il fine, secondo le attiviste, è quello di «stigmatizzare le zone popolari e "riportare l'ordine", desertificando il tessuto sociale autorganizzato», come nel quartiere della Capitale dove sabato scorso si è tenuto un corteo proprio per ribellarsi a questo concetto di sicurezza.
Un altro concetto di «sicurezza»
«Sicurezza» è una delle parole centrali della mobilitazione: «La sicurezza sono i servizi sociali», i «centri antiviolenza femministi con finanziamenti adeguati e strutturali», e poi «il diritto alla salute», «l'aborto libero, sicuro gratuito». Per le manifestanti «sicurezza» significa anche fermare la Pas, la sindrome dell'alienazione parentale, utilizzata nei tribunali, che può avere come conseguenza la perdita della responsabilità genitoriale. Significa «finanziare veri percorsi di autonomia e fuoriuscita dalle relazioni violente», tempi certi della giustizia. «La sicurezza è il salario minimo, affitti calmierati e quartieri vivibili», continua Non una di meno. Ed è «abrogare le leggi sull'immigrazione, rompere gli accordi italo - libici, aprire le frontiere e chiudere i Cpr in Italiane e in Albania».
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